L'espressione "Figlio dell'Uomo" (ebraico: ben-'adam; aramaico: bar-'enash; greco: ho huios tou anthropou) è un titolo usato ripetutamente nella Bibbia ebraica, nella letteratura intertestamentaria e nel Nuovo Testamento. La sua interpretazione è complessa e stratificata, con implicazioni diverse a seconda del contesto.
Nella Bibbia Ebraica:
In Ezechiele, "figlio dell'uomo" è un appellativo che Dio utilizza per rivolgersi al profeta Ezechiele stesso. Non indica una natura divina, ma sottolinea la sua umanità e la sua dipendenza da Dio. In questo contesto, il titolo enfatizza la mortalità e la debolezza umana di fronte alla potenza divina.
Nella Letteratura Intertestamentaria:
Nel libro di Daniele (7:13-14), compare una figura "simile a un figlio d'uomo" che giunge sulle nubi del cielo e riceve dominio, gloria e regno eterno. Questa figura è interpretata in vari modi:
Nel Nuovo Testamento:
Nel Nuovo Testamento, l'espressione "Figlio dell'Uomo" è usata quasi esclusivamente da Gesù stesso per riferirsi a sé. La sua interpretazione in questo contesto è cruciale per la cristologia.
L'interpretazione del "Figlio dell'Uomo" rimane un argomento di discussione tra studiosi biblici e teologi. Comprendere il contesto in cui il titolo è utilizzato è fondamentale per coglierne il significato. Le implicazioni cristologiche di questo titolo sono immense, in quanto sono legate all'identità di Gesù%20Cristo e alla natura del suo Regno%20di%20Dio. La sua Umanità e la sua Divinità vengono poste in relazione attraverso questo titolo.